Si ostinano a chiamarlo il Ferguson della Martesana, ma per Cesare Albè servono paragoni più a misura d’uomo. Meglio accostarlo a Guy Roux: 43 anni di militanza, di cui 39 consecutivi, ad insegnare calcio nel cuore della Francia, ad Auxerre.
Albé ha 70 anni e da 26 consecutivi lega il suo nome ad un altro nome, Giana Erminio. Ora il rendimento è alterno e la prossima gara, sul campo del Renate capolista, è assai tosta. Del resto, se una federazione come quella di Germania ha confermato il ct Loew dopo un 6-0 beccato in Spagna, lo storico presidente Oreste Bamonte non ha voluto essere da meno. E questo nonostante Albé dopo una gara peraltro vinta, aveva annunciato a breve l'arrivo di un nuovo tecnico: “Finché sarò io in carica Albè resta alla guida della squadra, è il migliore allenatore che ho conosciuto in 40 anni di calcio”.
“Loew è un giovanotto, io ho 70 anni e starei a casa volentieri. Avevo lasciato già 3 anni fa per problemi di salute. Ma poi eccomi di nuovo qui”.
Mister Albè, certo che questo accostamento a Ferguson…
‘’Ma no dai. Io sono stato un mediocre giocatore ed ho iniziato allenando dalla terza categoria quando avevo 30 anni. Però è vero che sono anche una sorta di manager, vado a vedere i giocatori personalmente e se serve mi scontro anche con i presidenti. Bamonte ad esempio uno se costa troppo mi risponde che non è adatto al nostro gioco”.
Un tuttofare insomma. Ma quando c’è da giocare punta più sulla tattica o sull’istinto?
‘’Sull’istinto. E poi nasco in un altro calcio, quello del libero, del marcatore, la difesa e il contropiede. Il segreto è un altro, ed è quello di saper soffrire. Se non si ha quella qualità c’è poco da fare tattica’’.
Ci sarà un modello che l’ha ispirata..
“Nereo Rocco, il modo di parlare, il mettere davanti a tutto la squadra e farla percepire come una famiglia allargata. Rocco vinceva trattando i suoi giocatori come figli, ma del resto vinceva anche Herrera, che pure aveva metodi diversi. Portando il discorso ai giorni nostri, diciamo che se fossi un buon giocatore renderei al cento per cento con Ancelotti, mentre avrei qualche problema con Conte”.
Capello ha raccontato che persino il Liedholm venne alle mani un paio di volte con dei giocatori. Le è mai capitato?
“No. A me capita di portarmi a casa il lavoro. Se vedo un ragazzo scontento, se non riesco a fargli rendere il massimo in campo, è la mia sconfitta più grande. I bravi sono bravi comunque, ma un ragazzo di campagna, timido, va preso con calma. Di calcio alla fine ce intendiamo tutti, ma non esiste solo il 4-3-3 o il 3-5-2. E poi pressing e ancora pressing. Una volta all’oratorio dopo l’Ave Maria la prima cosa che ti insegnavano era come stoppare la palla”.
Il grande calcio paradossalmente lo ha vissuto quando ha fatto il corso di Coverciano.
“L’ho fatto a 63 anni, gli altri ‘allievi’ erano tutti ragazzi dell’età dei miei figli. Ho un piacevole ricordo di Gattuso. Gli dicevo di sentirmi fuori posto, e lui mi rispondeva che la stessa sensazione l’aveva provata appena arrivato al Milan in mezzo a tanti campioni’’.
Coverciano, mica male per uno che ha curato pure l’erba del campo…
“Nasco nella squadra Pierino Ghezzi, dalla terza alla prima. Si curava il campo, si lavavano gli spogliatoi. E così anche con il Cassano D’Adda, portato dalla prima categoria alla D. Ci vuole umiltà. Anche se sono del Milan, quando ero ragazzino andavo a vedere il ritiro estivo dell’Inter a San Pellegrino. Suarez si portava la borsa e si puliva gli scarpini da solo. Ed aveva già vinto un Pallone d’Oro…”
Qualche campione lo ha allenato?
“Quello che ha fatto e sta facendo meglio è Augello della Sampdoria, anche se poi arrivare dipende da tante cose. Le faccio un altro nome. Manconi, un attaccante classe ’94. Ora sta all’Albinoleffe, per me dovrebbe giocare a San Siro”.
In questo calcio qual è la cosa che le piace di meno?
“Si stanno perdendo i derby di paese. E’ assolutamente necessario non smarrire il patrimonio del calcio dilettantistico”.
Mentre il calcio del futuro lo potrà insegnare ai nipoti.
“Porto ad esempio il più piccolo. Ha sette anni e mi sa dire tutto dei pianeti, ma il pallone proprio non gli interessa. Stessa cosa per i miei figli, a casa mia il calcio proprio non attacca”.
Autore: Stefano Spinelli
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